DIVINITÀ INDUISTE

Ganesha

In qualsiasi occasione, il primo a cui si fa appello e il più amato è Ganapati, Ganesha, Vinayaka: ogni cerimonia e rituale induista inizia con l’invocazione di questa Divinità. Il trasloco in una nuova casa, l’inaugurazione di un nuovo progetto o di un’impresa, l’inizio di un viaggio potrebbero essere costellati di pericoli, se prima non ci si propizia Ganesha.

Ganesha, il Dio dalla testa di elefante, è la Divinità della saggezza e dell’acume, ed è anche adorato come colui che rimuove gli ostacoli, difende le buone azioni e semina difficoltà sul cammino dei malvagi. La ricchezza di forme e attributi nella sua iconografia rivelano innumerevoli significati.

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L’iconografia di Ganesha

Le sue orecchie ampie simboleggiano il fatto che chiunque desideri ottenere la conoscenza dovrebbe parlare meno, e ascoltare di più. Il suo ventre prominente contiene l’intero universo e il serpente avviluppato intorno ad esso è l’energia che sostiene il cosmo. L’addome tondeggiante rappresenta inoltre la pazienza e l’appagamento, oltre che l’esortazione a non lasciarsi sopraffare dalla vita. Qualsiasi esperienza, positiva o negativa che sia, dovrebbe infatti essere accolta con equanimità.

Le quattro braccia di Ganesha simboleggiano l’attività del Dio nei confronti degli esseri: in una mano stringe un laccio, pasha, in un’altra un gancio, ankusha, a significare che Ganesha con l’uno avvicina i suoi devoti a sé, accogliendoli nella sua Grazia, mentre con l’altro allontana da loro ogni pericolo o avversità. La terza mano, protesa in avanti, compie il gesto noto come varada mudra, che mostra l’atto del dono. Infine la quarta mano, con il gesto di abhaya mudra, lenisce la paura assicurando agli uomini che Dio è al di sopra di ogni timore, poiché egli ha trasceso i limiti del tempo e della morte.

La simbologia del topo

Il veicolo di Ganesha è un topo. Un simile animale, anche se piccolo, è in grado di distruggere imponenti strutture e di divorare ingenti quantità di grano: allo stesso modo l’avidità e la lussuria possono rivelarsi distruttive per gli uomini. Secondo un’altra interpretazione il topo, dall’aspetto apparentemente modesto, indica che in qualsiasi corpo, per quanto minuto, dimora l’Atman, la Coscienza. Insegna in questo modo l’umiltà, poiché l’Atman è lo stesso in ogni essere vivente.

Un’ulteriore lettura della simbologia del topo come veicolo di Ganesha è quella secondo la quale esso rappresenta l’ego, ovvero la bramosia, la mente e i desideri che in essa sorgono. Il fatto che Ganesha lo cavalchi indica che egli domina tali tendenze, poiché è l’incarnazione della discriminazione e dell’intelletto. Il topo è spesso rappresentato ai piedi di Ganesha, con lo sguardo a lui rivolto e del cibo tra le zampe, in attesa di ricevere ordini, a rappresentare la mente soggiogata, posta sotto controllo. Inoltre, a ben vedere, il topo e l’elefante hanno una caratteristica in comune: entrambi, l’uno perché molto imponente, l’altro perché particolarmente minuto, sono in grado di superare qualsiasi ostacolo.

Indirettamente, il topo simboleggia anche la Natura come manifestazione della Shakti, che è emanata dalla madre di Ganesha e moglie di Shiva, ovvero Parvati.

Miti relativi a Ganesha

Riguardo alla nascita di Ganesha e al suo legame con Parvati, lo Shiva-purana narra una storia alquanto celebre fra gli indù, che ancora oggi ogni nonna racconta ai nipotini.

Un giorno Parvati stava facendo il bagno; non volendo essere disturbata, miscelò una goccia del suo sudore con dell’argilla e modellò la forma di un bambino, al quale infuse la vita. Gli ingiunse di stare di guardia alla porta e di non permettere a nessuno di entrare. Sfortunatamente, presto sopraggiunse Shiva. Il bambino gli proibì di varcare la soglia e quello, impaziente e impulsivo come sempre, non poté sopportare un tale insulto, perciò tagliò di netto la testa del giovane ragazzo. Parvati pianse disperatamente per la perdita subita, e si rifiutò di riappacificarsi con Shiva finché lui non ordinò ai suoi attendenti di porre sul corpo del bambino la prima testa che avessero trovato. Trovarono una testa di elefante, ed essa fu sistemata sul corpo decapitato del fanciullo. Alla vista del fanciullo così ridotto, tutti provarono orrore e disgusto. Solamente Parvati, spinta dall’amore materno, vide in lui la bellezza e fece sì che, chiunque lo guardasse, fosse in grado di percepirla anch’egli. Così, per la Grazia della Madre Divina, Ganesha divenne agli occhi di tutti una figura gradevole, in grado di suscitare profonda simpatia.

Un altro mito, contenuto nel Vaivratta-purana, racconta che Parvati desiderava ardentemente un figlio e così si rivolse a Shiva che le consigliò, per ottenere la realizzazione del desiderio, di intraprendere un periodo di austerità, tapas, della durata di un anno. Il saggio Sanatkumara aveva il compito di controllare il buon svolgimento della penitenza, assoggettando Parvati a diverse tribolazioni per misurare la sua forza e la sua determinazione. Dopo che il tapas di Parvati fu compiuto, ella udì una voce divina che le annunciava l’imminenza di una nuova nascita. Parvati corse ansiosa nelle sue stanze e trovò un bellissimo bambino dal viso luminoso come il sole del mattino. Non poteva credere ai suoi occhi: la sua gioia non conobbe confini.

Tutte le Devi e i Deva  accorsero al monte Kailasha per vedere il prodigio e rendere omaggio alla divina nascita: rimasero tutti meravigliati della straordinaria bellezza del neonato. I nove pianeti (Navagraha) si recarono a visitare la coppia divina e il loro amatissimo figlio. Tutti dispensarono buoni auspici e auguri di prosperità, tranne Shani (Saturno), che non rivolse nemmeno uno sguardo al bambino, anzi, rimase tutto il tempo con il capo rivolto in direzione opposta. Quando Parvati gli chiese perché fosse così riluttante a guardare il prodigioso infante, egli rispose che, a causa della profonda gelosia di sua moglie, se egli avesse guardato il bambino con ammirazione, questi sarebbe stato distrutto all’istante.

Tuttavia Parvati, spinta dall’orgoglio di vedere suo figlio ammirato da tutti, insistette perché Sani lo guardasse. Quando Sani posò lo sguardo sul radiante viso, immediatamente la testa del bambino si separò dal corpo e fu scagliata a grande velocità nello spazio.

Il tormento di Parvati suscitò grande commozione nel cuore dei Deva e Vishnu, sentito l’accaduto, salì velocemente sul suo veicolo alato, l’aquila Garuda, e volò nel cosmo in cerca di una testa da rimpiazzare sul corpo del bambino. Si trovò sulle rive del fiume Puspabadra dove gli elefanti si abbeveravano e trovavano frescura per dormire. Scelse la testa di un elefante rivolto a nord e la sistemò immediatamente sul collo del bambino. Infuse in lui la vita e lo presentò a Parvati che fu felicissima di avere un figlio con la profonda conoscenza e la potenza di un elefante.

Perciò, benché non sia né umano né animale, Ganesha incarna l’intelligenza di una mente umana combinata con la forza fisica di un animale. È considerato l’incarnazione della conoscenza suprema e della saggezza divina. Questa sua caratteristica è ben illustrata da una delle più importanti storie a lui relative.

Il saggio Vyasa, autore del Mahabharata, testo sacro indù, in profonda meditazione ricevette da Brahma il suggerimento di chiedere a Ganesha di essere lo scrivano del poema. Ganapati fu subito d’accordo, ma accettò ponendo a Vyasa la condizione di dettare in modo continuato, senza nessuna interruzione. Vyasa acconsentì, ponendo a sua volta una condizione: Ganesha poteva scrivere solo quello che capiva perfettamente, il contenuto di ogni parola, ogni pensiero e le sue implicazioni. Vyasa, dettando, componeva dei versi così complessi che Ganesha talvolta doveva interrompere la scrittura per pensare e riflettere, dando così il tempo a Vyasa di comporre mentalmente alcune “stanze” dettandole a Ganesha quando era pronto. Per scrivere quest’opera, Ganesha spezzò una sua zanna: incise il Mahabharata, il più lungo poema epico mai conosciuto, sacrificando la sua bellezza per la conoscenza.

Il festival di Ganesha

Il festival di Ganesha è il giorno più sacro ad egli dedicato, ed è anche una delle più popolari celebrazioni indù, osservata in tutta l’India e anche dai devoti sparsi per il mondo, poiché Ganesha è benvoluto e amato ovunque. Si tratta di una festa che cade nel quarto giorno di luna crescente del mese di bhadrapada (agosto-settembre). In tale occasione si preparano dei dolci speciali, i modakha, e si spezzano i cocchi, simbolo dell’ego che viene annullato con la saggezza e l’energia che Ganesha infonde. Vengono costruite rappresentazioni della divinità in terracotta, gesso o cartapesta, dipinte a mano con bellissimi colori. Dopo che le si è adorate per un periodo da due a dieci giorni, le si immerge nell’acqua del mare o di un fiume o di un lago, oppure nelle vasche dei templi.

Poiché egli è molto goloso di dolci e soprattutto delle palline di farina di riso chiamate modakha, tutte le famiglie indù, durante il festival di Ganesha, preparano dei dolci in suo onore e li offrono durante la puja per ingraziarsi il buon auspicio del Divino. Durante questi giorni di festa si respira aria di giubilo, ogni immagine di Ganesha è addobbata e ornata con fiori e stoffe preziose, ogni tempietto è luogo di ritrovo di folle che si soffermano di fronte a questa figura benevola e rassicurante. Anche i kirtan (canti devozionali) a lui dedicati rispecchiano il carattere di questa particolare divinità, sono gioiosi e aiutano a elevare lo spirito per rivolgerlo più vicino al Divino.